PITAGORA E LA MUSICA DELL’UNIVERSO

«aciò che la harmonica ratione et mathematica habia la nota, ultra di questo aciò de le baliste, catapulte, scorpioni le temperature possa rectamente fare […]. Similmente le hydraulice machine et altre qual son simile a quisti organi, senza musice ratione niuno li potarà efficere» (lib. I, cap. 1) Vitruvio.

Se chiedessimo a un ragazzo qualsiasi della scuola primaria: qual è la più grande scoperta che ci ha lasciato Pitagora, questi ci sciorinerebbe a memoria il famoso teorema, che stando agli storici, non sarebbe neppure una sua scoperta, essendoci prove delle sua conoscenza in vari ambienti egizi e prima ancora in alcune regioni della Mesopotamia. Tuttavia la scoperta che rivoluzionerà per sempre il pensiero umano e che secondo Senocrate (allievo di Platone) è da attribuire al maestro è la seguente: «tutte le cose che si conoscono hanno numero», poiché «senza il numero non sarebbe possibile pensare né conoscere alcunché». È ben stabilito, che la prima legge matematica che sia mai stata formulata matematicamente fu fatta in musica, ed è la relazione fra l’altezza dei suoni e la lunghezza di una corda d’arpa vibrante, e che essa fu espressa dai primissimi pitagorici.
Lo strumento suonato da Pitagora era probabilmente la lira a sette corde. La suonava con quattro delle sette corde a intervalli fissi. Non c’era scelta su come dovessero essere quegli intervalli.
Quando Pitagora e i suoi discepoli videro che certi rapporti di lunghezza di corde producevano sempre l’ottava, la quinta e la quarta, balenò nella loro mente l’idea che dietro la bellezza che essi udivano nella musica doveva esserci una regolarità nascosta: una regolarità che riuscivano a capire, ma che non avevano creato o inventato loro, e che non potevano cambiare. Senza dubbio questa regolarità non poteva essere un caso isolato. Regolarità aritmetiche e geometriche simili dovevano celarsi dietro tutta la quotidiana confusione e complessità della natura. Nell’universo c’era ordine, e quest’ordine era fatto di numeri. Questa fu la grande intuizione pitagorica, ed era diversa da tutte le precedenti concezioni della natura e dell’universo. Benché i pitagorici non sapessero come usare il tesoro che avevano trovato (e benché matematici e scienziati moderni stiano ancora cercando di capire) la loro scoperta ha guidato il pensiero umano da allora. Pitagora e i suoi seguaci avevano scoperto anche che c’era evidentemente un potente legame fra le percezioni dei sensi umani e i numeri che pervadevano e governavano ogni cosa. La natura seguiva una logica fondamentale, razionale, bella, e gli esseri umani erano in accordo con essa, non solo a un livello intellettuale (potevano scoprirla e comprenderla) ma anche a quello dei sensi (potevano percepirla attraverso l’udito nella musica, o attraverso la vista delle forme e la percezione dello spazio in pittura o in architettura).
A lui si ispirarono per i loro trattati Pico della Mirandola e Niccolò Copernico, solo per citarne alcuni, lo stesso Sandro Botticelli, nella sua famosa “Primavera” mette in relazione creature mitologiche e orbite planetarie alle note di un’ottava in musica. Alberti nel suo ” De re aedificatoria” ebbe a scrivere: Sono ogni giorno sempre più convinto della verità del detto pitagorico che la natura è sicura di agire con coerenza, e con una costante analogia in tutte le sue operazioni. Ne concludo che i numeri per mezzo dei quali l’accordo dei suoni delizia il nostro orecchio, sono gli stessi che piacciono ai nostri occhi e alla nostra mente. Noi attingeremo perciò tutte le nostre regole per la rifinitura delle nostre proporzioni dai musici, che sono i massimi maestri di questa sorta di numeri, e da quelle cose in cui la natura si mostra più eccellente e più completa.
Ma lo stesso Palladio, nei suoi famosi Quattro libri dell’architettura, istituì una connessione diretta con la scoperta pitagorica che certi rapporti in musica producevano suoni che erano gradevoli all’orecchio umano indipendentemente dal fatto che chi li ascoltava conoscesse o no i numeri sottostanti. Palladio era convinto che, come le proporzioni dei suoni sono un’armonia per l’orecchio, così le misurazioni sono un’armonia per gli occhi, i quali ne provano un grande piacere pur non conoscendone la ragione, se non nel caso di coloro che studiano per sapere le ragioni delle cose. Per lui i numeri preferiti che avrebbero prodotto un tale piacere spontaneo negli osservatori di un edificio erano quelli fondati sulle stesse sequenze scoperte dai pitagorici nei rapporti dell’armonia musicale: 1:2, 2:3 e 3:4. Ma potrei citare Keplero, Newton, Mozart, Einstein, ecc. Tutti nella ricerca spasmodica di questa antica, meravigliosa intuizione, che ancora ci affascina forse perchè non ci fa sentire soli.

M.O. Soriano