LA CITTA’ DI SIMMEL

In questo breve saggio la città appare come la quintessenza della modernità stessa, e l’essere umano che vive al suo interno può rispondervi solamente tramite l’adattamento. Per Simmel parlare di adattamento significa tenere presente la complessità interna dell’individuo, distinguibile in due livelli: superficiale e profondo. Rispetto all’individuo che vive nella ruralità, quello metropolitano deve sviluppare maggiormente il livello superficiale e cognitivo: “La base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni”. Senza sviluppare questo sistema di difesa, che è anche il più adattabile, l’individuo sarebbe sovraesposto e la sua vita in città non sarebbe possibile. La vita metropolitana prevede dunque una prevalenza della razionalità e dell’intelletto, ossia la zona più periferica dell’animo umano. Tuttavia, quando un individuo sta realmente male e manifesta patologie croniche (tossicodipendenza, malattie psicosomatiche, ecc…), la parte che soffre è quella più interna, la “sfera affettiva”.
Questo processo psicologico è in chiaro contrasto con gli stimoli e lo stress che provengono dal tipo di vita metropolitano, la cui caratteristica principale è data dall’economia monetaria. Nella metropoli la concentrazione di scambi permette all’economia di avere un’importanza che non potrebbe mai avere negli ambienti rurali: questo tipo di economia, legata a doppio filo all’utilizzo del denaro, è fondamentalmente valore di scambio e la metropoli è l’ambiente che lo potenzia. Denaro e intellettualità sono -nella loro essenza- formalmente giusti, ma possono essere di una durezza spietata per l’animo umano, in quanto sono insensibili e indifferenti a quelli che Karl Marx chiamava valore d’uso e valore di scambio. L’intuizione di Simmel di mettere in correlazione denaro e razionalità lo si trova ben descritto nella formulazione –centrale nell’opera- dell’individuo “Blasè”, il quale “rende tutto relativo e contingente”, riflettendo una piena interiorizzazione dell’economia del denaro: “Il denaro implica un rapporto solo con ciò che è riducibile allo scambio ed è riconducibile alla domanda: quanto? Traduce ogni qualità in quantità […] questo carattere è conseguenza di quella rapida successione e di quella fitta concentrazione di stimoli nervosi contraddittori, dai quali deriva anche l’aumento dell’intellettualismo metropolitano […] Così come la smoderatezza nei piaceri rende blasè perché sollecita costantemente i nervi a reazioni così forti che questi alla fine smettono di reagire, allo stesso modo anche le impressioni più blande impongono a chi è sciocco o inerte delle risposte tanto violente da sbatacchiarlo per così dire di qua e di là, in modo tale da mobilitare anche le sue ultime riserve vitali, senza che egli abbia modo di raccoglierne di nuove. Questa incapacità di reagire a nuovi stimoli con l’energia che competerebbe loro è proprio il tratto essenziale del blasè”.
Queste brevi considerazioni, tutt’altro che esaustive del pensiero di Simmel nella sua interezza, ci servono per capire come lo sviluppo futuro delle nostre metropoli non debba riassumersi in un mero processo di “razionalizzazione del territorio”. Occorre invece agire per ritrovare la dimensione più intima del nostro vivere
e in questo senso le scienze sociali ricoprono un ruolo centrale: colpevolmente, esse si sono sempre affacciate in modo timido verso una trattazione tra soggetto, spazio e modalità abitative o insediative. Eppure un oggetto architettonico –o un oggetto città- raggiunge il suo compimento solo quando viene abitato, o viene fruito. E, in fondo, non si può che progettare per qualcuno.

Simone Parmeggiani